Diagnosi ADHD per adulti

ADHD adulti

L’ADHD negli adulti è una neurodivergenza con caratteristiche specifiche: parliamo di diagnosi e trattamento. Tempo di lettura: 10 minuti.

Indice

  1. ADHD: una definizione
  2. Cos’è la neurodivergenza?
  3. Diagnosi ADHD negli adulti
  4. Eziopatogenesi dell’ADHD
  5. Ricevere una diagnosi
  6. Quali interventi per l’ADHD per gli adulti?
  7. Riferimenti bibliografici

ADHD: una definizione

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività è una neurodivergenza legata al diverso funzionamento di alcune aree cerebrali, che generano difficoltà nel pianificare azioni complesse (cioè delle funzioni esecutive), nella concentrazione, nel controllo degli impulsi e nella motivazione. L’ADHD ha una forte componente neurobiologica e genetico-ereditaria, ma c’è sempre da considerare quella che è l’interazione geni-ambiente per ogni singolo individuo.

Possiamo individuare tre diverse tipologie, o manifestazioni, di ADHD (sia per bambini, sia per adulti):

  1. Iperattivo/Impulsivo: caratterizzata da manifestazioni legate alle componenti comportamentali di impulsività.
  2. Disattento: caratterizzata da manifestazioni legate più alle difficoltà di attenzione e di concentrazione, rispetto a quelle comportamentali di impulsività. Sembra essere particolarmente rilevante per le donne e in età adulta.
  3. Misto/Combinato: caratterizzata da una combinazione delle manifestazioni di iperattività e di disattenzione. La più diffusa, soprattutto in età scolare.

La psicoterapia cognitivo comportamentale, spesso associata al trattamento farmacologico, si è rilevata efficace nel corso del tempo per sostenere le persone ADHD nello sviluppo di abilità organizzative, di problem solving, di gestione del tempo e di regolazione emotiva.

Le caratteristiche dell’ADHD

Non esiste una persona ADHD uguale ad un’altra: questo perché siamo esseri umani e la diagnosi categoriale si accompagna sempre anche a quella funzionale dell’individuo. Le manifestazioni della neurodivergenza quindi variano da persona a persona, ma possiamo comunque individuare delle caratteristiche e delle manifestazioni principali sulla base dei criteri del DSM-5-TR, uno dei manuali diagnostici più utilizzati dai professionisti della salute mentale: difficoltà nel controllo degli impulsi e dell’attività motoria, difficoltà di attenzione e di concentrazione, facile distraibilità e nebbia cognitiva, iperfocus, deficit nelle funzioni esecutive.

Cos’è la neurodivergenza?

Il concetto di neurodiversità è nato a partire da quello di biodiversità: anche all’interno della stessa specie si possono notare delle differenze e delle variazioni, sia nell’aspetto esteriore sia nel funzionamento neurologico. Possiamo riconoscere così dei pattern di funzionamento, alcuni più comuni e altri più rari: nel primo caso abbiamo la neurotipicità e nel secondo la neurodivergenza. La neurodivergenza è un funzionamento neurologico meno diffuso a livello statistico e per questo definito atipico: in questa categoria rientrano ad esempio le persone ADHD, DSA, autistiche.

Non c’è un cervello uguale a un altro, anche se possiamo riconoscere una tipicità statistica nelle somiglianze tra un cervello e un altro. Riconoscendo la tipicità, immaginando proprio una curva gaussiana di frequenza statistica, riconosciamo anche le divergenze. Da qui i concetti di neurodiversità, neurotipicità e neurodivergenza.

Ma cosa significa? Significa che tra un cervello e l’altro possono esserci variazioni cognitive, motorie, sensoriali, sociali, linguistiche, percettive. Questi termini li usiamo spesso in relazione ad autismo e ADHD, ma comprendono più in generale tutti i funzionamenti dei nostri cervelli. E questo è un fatto, non patologico e non poi così strano: rappresenta la bellissima e complessa variabilità umana.

Quindi, siamo tutti neurodiversi: alcune volte ci avviciniamo di più alla neurotipicità e altre alla neurodivergenza.

Diagnosi ADHD negli adulti

L’ADHD viene spesso considerata come una diagnosi esclusivamente pediatrica o maschile: nonostante insorga sempre durante l’infanzia, essendo questa una neurodivergenza, non è insolito che le sue manifestazioni non siano riconosciute fino all’età adulta e sono numerose le donne che ricevono una diagnosi di ADHD in età adulta. Negli adulti, le manifestazioni più comuni dell’ADHD sono: difficoltà di concentrazione, scarse capacità esecutive, sbalzi d’umore, irritabilità, agitazione e impazienza, difficoltà nelle relazioni interpersonali.

Gender gap: ADHD nelle donne

L’ADHD è dunque una neurodivergenza che riguarda non solo i bambini, ma anche gli adulti, uomini e donne. Ciò nonostante, le donne tendono a ricevere diagnosi più tardive rispetto agli uomini. Come riportato nel DSM-5-TR infatti la diagnosi di ADHD per uomini e donne in età dello sviluppo è di 2:1, mentre in età adulta è di 1.6:1.

Quali sono le motivazioni di questo gender gap? Diverse: la maggior parte della ricerca, ad esempio, si concentra su una popolazione costituita per lo più o da bambini o da uomini o entrambi; è stato evidenziato inoltre come le donne tendano a fare più masking e dunque a mascherare e mimetizzare i funzionamenti tipici dell’ADHD; sembra essere più predominante, nella popolazione femminile, il sottotipo disattento, che ha manifestazioni meno evidenti rispetto a quello iperattivo o combinato.

ADHD ed estrogeni: come il ciclo mestruale può influenzare l’ADHD

Il sistema dopaminico del nostro cervello è fortemente influenzato dalla produzione di ormoni come gli estrogeni, che incrementano la produzione di dopamina, attivando dunque il sistema dopaminergico.

Di conseguenza, con le variazione della produzione di estrogeni durante le fasi del ciclo mestruale e di conseguenza della produzione di dopamina, può verificarsi anche una variazione della sintomatologia dell’ADHD. Durante le fasi di bassa produzione di estrogeni (come durante le mestruazioni o successivamente all’ovulazione), potrebbero intensificarsi: impulsività, disattenzione, distrazione, disregolazione emotiva.

Eziopatogenesi dell’ADHD

Secondo le stime del DSM-5-TR è circa il 2.5% della popolazione mondiale adulta a rispettare i criteri diagnostici per la diagnosi di ADHD: nonostante sia fortemente probabile una componente ereditaria, ad oggi la sua eziopatogenesi non è certa. Quando si parla di neurodivergenza più che di comorbidità si parla di co-occorrenze, che nel caso dell’ADHD più frequentemente comprendono da DSM-5-TR: disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi da dipendenza da sostanze e disturbo ossessivo compulsivo.

Sono state rilevate specifiche alterazioni neurobiologiche fisiche e chimiche nel cervello ADHD:

Alterazioni fisiologiche

Le zone cerebrali maggiormente coinvolte sono la corteccia prefrontale, le strutture sottocorticali e limbiche, ma anche il cervelletto: queste aree presentano alterazioni sia del loro funzionamento sia del loro volume, che appare ridotto rispetto ad un cervello non ADHD e con un flusso di sangue minore.

Alterazioni chimiche

La comunicazioni tra queste regioni avviene a livello chimico tramite i neurotrasmettitori: nel cervello ADHD sono presenti anche delle alterazioni del sistema dopaminergico, i cui neurotrasmettitori chiave sono la dopamina, la noradrenalina e la serotonina. La dopamina risulta coinvolta nelle manifestazioni di scarsa attenzione e iperattività, la serotonina nell’impulsività, e la noradrenalina nell’aggressività.

Ricevere una diagnosi

La condivisione della diagnosi in terapia è uno di quegli argomenti all’apparenza un po’ scomodi, che scatena tanta paura e tanti timori. La verità è che non esiste una sola diagnosi. Siamo infatti universi troppo complessi per essere ridotti ad una sola parola: proprio per questo nel lavoro terapeutico ne esistono diversi tipi. E sono tutti a loro modo indispensabili, poiché ci permettono di navigare nella complessità dei nostri mondi interni seguendo una guida nosografica e personale.

La diagnosi categoriale

Si inquadrano le difficoltà e la sofferenza riportate dal paziente all’interno di una categoria diagnostica riconosciuta a livello mondiale, attraverso l’utilizzo di specifici manuali scientifici. Esempi di manuali sono il DSM-5-TR e l’ICD-11.

La diagnosi funzionale

Qui è il vissuto unico e personale del paziente ad diventare il nucleo d’interesse: quali sono le sue risorse, le sue motivazioni, le sue esperienze? Quali sono i punti di forza e quali le loro funzioni?

La diagnosi diventa uno strumento di conoscenza, per affrontare l’ignoto: attraverso un nome definito, si riconosce la sofferenza e si affronta in un piano terapeutico condiviso tra psicologo e paziente. Questo nome però si adatta alla persona che abbiamo di fronte nel nostro studio: il significato della diagnosi è diverso per ogni persona. E questo va affrontato all’interno della relazione terapeutica: perché la diagnosi non è la soluzione ad ogni dubbio, ma neanche una condanna inesorabile e senza via di uscita.

La diagnosi è un’opportunità: per lavorare insieme e raggiungere gli obiettivi del percorso terapeutico.

Assessment ADHD in età adulta

Il processo diagnostico dell’ADHD in età adulta comprende un’approfondita e dettagliata raccolta di informazioni accompagnata da colloqui e test specifici, come questionari e interviste. Utile è anche indagare le aree del funzionamento dell’individuo come le funzioni esecutive, la regolazione emotiva, le abilità sociali.

Quali interventi per l’ADHD negli adulti?

L’intervento per l’adulto si può dividere in quattro principali categorie, da adattare alle caratteristiche e alle preferenze dell’individuo: farmacoterapia, psicoeducazione, psicoterapia e coaching. Auspicabile è sempre un trattamento integrato e multimodale che tenga conto del funzionamento specifico del singolo.

Farmacoterapia

La terapia farmacologica è regolamentata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e il suo scopo è quello di favorire una migliore funzionalità sia cognitiva sia affettiva nell’individuo ADHD. Sono due le principali categorie di farmaci utilizzate: psicostimolanti e non stimolanti, prescritti sulla base delle caratteristiche e dei bisogni del singolo paziente.

Psicoeducazione

La psicoeducazione è un intervento il cui scopo si focalizza sul favorire la consapevolezza e la conoscenza delle caratteristiche e delle manifestazioni dell’ADHD al fine di migliorare la qualità della vita delle persone neurodivergenti. Questo intervento può essere sia individuale sia di gruppo.

Psicoterapia

La psicoterapia in specifici casi può essere il trattamento migliore per l’individuo, in quanto soprattutto se la diagnosi di ADHD è arrivata tardivamente in età adulta sono frequenti le co-occorrenze con altre diagnosi e/o disturbi.

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Coaching ADHD

Il coaching ADHD è uno specifico sostegno psicologico volto all’empowerment dell’individuo, focalizzato sui bisogni, sulle manifestazioni, sulle caratteristiche del singolo paziente ADHD. Lo scopo del coaching è quello di acquisire non solo conoscenze, ma anche specifiche skills volte a migliorare e favorire le funzioni esecutive, il problem solving, attenzione, memoria, gestione del tempo, regolazione emotiva, abilità sociali e di pianificazione.

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Riferimenti bibliografici

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Lo scopo del presente articolo è puramente informativo e divulgativo: non si sostituisce ad un percorso di terapia personale o a un iter diagnostico, ma ha il solo intento psicoeducativo.

Per approfondire

  1. Neurodivergenza: tra autismo, ADHD e genere
  2. Opuscolo: ADHD in età adulta
  3. L’ADHD negli adulti e nelle donne

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