Sono tante le parole della psicologia che si incontrano in terapia: utilizziamo il linguaggio per conoscere e conoscerci, esplorando nuove dimensioni di senso e di significato della nostra esperienza interiore.
E oggi ti svelo alcune tra le parole più importanti, per accedere al tuo mondo interno. Perché la salute mentale sta anche – forse soprattutto – nelle piccole cose.
Nel permetterci quei momenti di fragile vulnerabilità.
Nel riconoscere che siamo esseri umani.
Tempo di lettura: 10 minuti.
Indice
- Perdersi (e ritrovarsi)
- Dolore
- Matasse emotive e cicatrici
- Giudizio
- La paura della felicità
- Gentilezza amorevole
- Grazie
- Piangere e vulnerabilità
- Amore e Kintsugi
Perdersi (e ritrovarsi)
C’è una sensazione tutta specifica che spesso emerge in terapia. Il sentirsi persi in mezzo al mare, intrappolati in una barca che prende acqua. E tra le onde in tempesta, non c’è difesa… riconosciamo solo angoscia e solitudine.
“Come ho fatto ad arrivare fin qui, così?”
“Mi sembra di aggiustare una falla per poi scoprirne un’altra e un’altra ancora e così all’infinito”
“Sono stanca, mi sembra di essere rotta e senza speranza”
Ed è difficile riuscire a vedere la luce del faro coperta dalla pioggia. Ed è difficile riconoscere i progressi che abbiamo fatto per arrivare fin qui, oggi. Tutto sembra venire spazzato via dal dolore.
E si continua a lottare e ad andare avanti a fatica, con gli occhi coperti dalle gocce di pioggia (e dalle lacrime). Perché c’è una parte di noi che ancora ci crede e che ci ripete che sì, forse ne vale la pena. E quella parte è resistente, anche se facciamo fatica a sentire la sua voce tra i fulmini e i tuoni.
Finché le nuvole non iniziano a diradarsi, sospinte via dal vento. Finché non si fa strada sul nostro volto un raggio di sole, debole ma tiepido. Finché non ci rendiamo conto che un cambiamento in noi è avvenuto, che riusciamo a vedere le cose in modo diverso. Che riusciamo a stare al mondo, in modo diverso.
Si aprono possibilità. Questa è la guarigione: la nostra barca ancora ogni tanto prenderà acqua. E ogni tanto nel nostro cielo ancora ci sarà tempesta e grigiore, nei nostri occhi lacrime e acqua di mare. Ma riusciremo a tenere i remi, riusciremo a gestire il timone. Aprendoci a nuove prospettive, navigando verso le rotte che ci permetteranno di costruire noi stessi.
Dolore
La terapia è scomoda. A volte può essere addirittura terribile. Sconvolge ogni tua certezza, ogni paradigma che fino ad ora hai utilizzato per stare al mondo e ogni riferimento grafico che hai utilizzato per interpretarlo e navigare nel suo caos.
La terapia è scomoda. Ti costringe a stare in quello che prima di iniziarla definivi come “disagio” e che dopo qualche seduta hai iniziato a riconoscere come tristezza, vergogna, senso di colpa, disgusto, paura, ansia. La terapia ti costringe a guardare tutte queste emozioni in faccia e a metterle in fila, ascoltandole una dopo l’altra quasi senza sosta.
La terapia è scomoda: perché ti mette alla prova e ti spinge oltre la zona di comfort, perché richiede impegno e motivazione costanti. Diventa un vero e proprio lavoro e costa fatica (non a caso, qui a Napoli il lavoro lo chiamiamo proprio fatica).
La terapia è scomoda, perché è scomoda la vita: e ne vale la pena. Perché con la terapia trovi atlanti e bussole e sestanti nuovi per navigare nel percorso unico che è la tua esistenza. Perché ti aiuta a trovare nuove prospettive e ad aprirti al cambiamento, rendendo tollerabile la sofferenza.
Ti aiuta a credere nel fatto che puoi sopravvivere a questo dolore, ma che meriti anche di vivere. Dalla gioia alla tristezza, dalla felicità alla malinconia: tutto il ventaglio delle emozioni diventa tuo, conosciuto e fugace, ma anche ricco di tutte le sfumature dell’esistenza.
Matasse emotive e cicatrici
Alcune volte le storie sembrano mescolarsi e ingarbugliarsi in una matassa apparentemente indistricabile di sofferenza e confusione.
Finiamo per non sapere più cosa proviamo, cosa pensiamo o addirittura perdere anche l’idea di chi siamo e di chi siamo stati, di chi saremo.
Diventiamo intolleranti alla sofferenza e al cambiamento, aggrappandoci a ciò che conosciamo anche se ci genera sofferenza.
Ci illudiamo di avere controllo sul nostro dolore e ci chiudiamo in una gabbia d’oro sperando di non vedere e non sentire quelle sbarre che ci lacerano sempre di più la carne, provando un dolore così vivo che ci sembra di non avere più la pelle. Finché non ci rendiamo conto che le nostre ferite possono guarire.
Con il tempo, con amore. Con infinita pazienza, tollerando la frustrazione che ne deriva. Sappiamo che la nostra pelle non sarà più quella di prima, che sarà diversa. Piena di cicatrici.
Ma quelle cicatrici sono anche il simbolo della speranza e della fatica. Perché siamo arrivati fin qui e abbiamo scelto il cambiamento. Per iniziare a sbrogliare la matassa nel nostro mondo interno.
Giudizio
Uno dei nostri peggiori nemici è il giudizio. Non solo il giudizio verso gli altri, ma soprattutto il giudizio severo che rivolgiamo a noi stessi. E allora finiamo per rivolgerci parole cattive, dimenticando tutte le cose preziose che fanno parte di noi.
Perché considerarsi un fallimento diventa la normalità nel confronto con gli altri. Più bravi. Più veloci. Più intelligenti. Più belli. Più forti.
E diventa estremamente difficile riconoscere le cose belle di noi, rinchiuse nel nostro mondo interno che tenta disperatamente di sopravvivere nonostante il nemico giudizio abbia fatto irruzione nel suo castello.
Quindi, ogni tanto, ricordati di cantare un’ode alle cose belle di te che rischi di dimenticare. Al suono della tua risata, alla luce dei tuoi occhi. A tutte le volte in cui ce l’hai fatto e anche a tutte quelle volte in cui ha avuto il coraggio di chiedere aiuto.
Perché anche tu meriti di prenderti lo spazio per esistere. E di riempirlo di luce e di amore, iniziando anche a rivolgere un po’ di gentilezza verso di te Imparando a riconoscere tutte le cose belle di te che stai dimenticando.
La paura della felicità
Una delle emozioni che generano più angoscia e sorpresa in terapia è la felicità.
E sembra paradossale, come può la felicità fare paura?
(Però poi pensandoci un po’ su tutto diventa stranamente chiaro, dopotutto ci hanno anche fatto una canzone e inventato una parola, la cherofobia).
Quante volte ti sei chiestƏ, con sorpresa, “e ora cosa andrà storto?” quando stava andando tutto bene?
Quante volte ti sei dettƏ “accadrà sicuramente qualcosa di brutto, me lo aspetto… questa tranquillità non può durare a lungo”?
La felicità diventa terrore quando perdiamo la tolleranza all’incertezza, quando perdiamo la capacità di accogliere la nostra vulnerabilità.
E allora diventa impossibile abbandonarsi alla gioia. Alla felicità. Perché la paura prende il sopravvento su tutto. Perché essere vulnerabili significa non essere pronti al pericolo e alla delusione.
Restare in tensione, non cedere alla tranquillità della felicità, ci permette di illuderci di essere protetti dalla delusione. Che questa quando arriverà, inesorabile, non ci farà poi così male. Dopotutto, ce lo aspettavamo.
Ma questa strategia è solo un’illusione. Non ci prepara davvero al dolore – perché il dolore nella vita è inevitabile. Ci crea solo ulteriore sofferenza: non ci permette di vivere a pieno, davvero, i momenti di serenità.
E allora, tutto quello che ci resta da fare è accendere la luce e mostrarci così come siamo. Vulnerabili, ma pronti ad assaporare i momenti di felicità.
Gentilezza amorevole
Qualsiasi cosa accada oggi, anche tu meriti un po’ di gentilezza.
Prova a parlarti come se al tuo posto ci fosse un amico. Cosa gli diresti in un momento di difficoltà? Prova a chiedergli di cosa ha bisogno, cosa desidera.
Prendendoti un momento per ricaricarti durante i momenti difficili. Custodendo i momenti di felicità e di gioia, vivendoli al meglio delle tue possibilità.
Perché oggi hai fatto del tuo meglio. E alcune cose sono andate bene. Altre invece sono andate male. Ma questo non determina il tuo valore – fa semplicemente parte dell’esperienza umana.
Grazie
Una delle parole più rivoluzionarie e sconvolgenti in terapia è “grazie”.
Una parola semplice, gentile ed effimera che incontro piuttosto spesso, soprattutto a fine seduta.
Accompagnata da un “buona giornata” o da un “ci vediamo la prossima settimana”, arriva sempre in tutta la sua potenza – quella della gentilezza, disarmante.
E quando mi viene rivolto un grazie, certo, ne sono felice – è un piccolo regalo, significa che abbiamo lavorato tanto in seduta e che il peso della matassa che iniziamo a districare nel processo si sente.
La cosa più speciale di tutte però è che siamo in due, nella relazione: e il grazie che mi viene rivolto è anche un grazie a se stessi e al lavoro che è stato svolto, insieme. E questo cerco sempre di rimandarlo.
“E chi altro dovresti ringraziare?” rispondo spesso scherzando – perché anche le risate sono importanti nello spazio potenziale della terapia, ma magari ne parliamo un altro giorno.
E ancora più spesso sono io a dire grazie: “grazie per avermelo detto”. Grazie per la fiducia che riponi in questa relazione, grazie perché è tremendamente faticoso e difficile trasformare pensieri, emozioni, ricordi in parole.
Le parole hanno una concretezza tutta loro, hanno la loro realtà – anche simbolica. E sono grata di poter accogliere queste parole.
Una delle parole della terapia è “grazie”. Perché la gentilezza è un gesto rivoluzionario, soprattutto quando la rivolgiamo a noi stessi.
Piangere e vulnerabilità
“Piangere è da deboli”
Quante volte hai sentito dire questa frase? E quante volte l’hai ripetuta? Eppure il pianto è una funzione che ci aiuta a regolare il nostro corpo e ad esprimere le nostre emozioni, a noi stessi e agli altri.
Il pianto è il primo strumento che abbiamo per comunicare la nostra esistenza al mondo non appena nasciamo. Il pianto diventa espressione di vita, aiutando ad esprimere e ad elaborare la sofferenza. Il pianto attiva il sistema simpatico e aiuta il tuo corpo e la tua mente a calmarsi, regolando le emozioni.
Mettendo ordine nella costellazione del tuo mondo interno. Non scusarti per le tue lacrime: sono la prova che sei ancora qui, prontə a lottare.
Amore e Kintsugi
Ti dirò una cosa difficile: ogni singola parte di te merita di essere amata.
Alcune parti di te probabilmente le riesci ad accogliere con più facilità. Ad apprezzare, forse addirittura ad ammirare, come se fossero pietre preziose che brillano al sole.
Mentre altre le vorresti tenere nascoste, nell’ombra, invisibili Parti che vorresti scomparissero via, per sempre, perse nell’oblio.
Parti di te che ti ricordano momenti di dolore, di vergogna, di senso di colpa, di paura. Ma anche questi lati di te meritano di essere amati, così come sono. Forse sono la parte di te che più desidera amore e comprensione, gentilezza e compassione.
E non è facile imparare ad amarti, in ogni tua singola parte: ma la vera bellezza è imperfetta, è incompleta, è impermanente. Perché anche le ferite più dolorose possono rimarginarsi e coprirsi d’oro.
Lo scopo del presente articolo quindi è puramente informativo e divulgativo: non si sostituisce ad un percorso di terapia personale o a un iter diagnostico, ma ha il solo scopo psicoeducativo.
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