Cos’è l’overthinking e perché è connesso all’ansia? Come il rimuginio influisce sulle nostre emozioni. Tempo di lettura: 20 minuti.
Indice
- Cos’è l’overthinking?
- Le distorsioni cognitive
- Il pensiero negativo ripetitivo: rimuginio e ruminazione
- Parliamo di overthinking e di ansia
- Il nostro sistema nervoso: da dove nasce l’ansia?
- Tu non sei i tuoi pensieri
- Quindi come superare overthinking e ansia?
Cos’è l’overthinking?
Il nostro cervello è meraviglioso: riesce a trovare tanti modi per riuscire a sopravvivere anche nelle situazioni più complesse e avverse… e lo dice anche Bessel Van der Kolk, uno dei più importanti pionieri nella ricerca del PTSD (per un approfondimento sul Disturbo Post Traumatico da Stress clicca qui). Solo che il nostro cervello non sempre applica soluzioni funzionali… a lungo.
Quindi, anche il pensiero negativo ripetitivo tipico dell’overthinking ad un certo punto della tua vita, è stato il tuo meccanismo di sopravvivenza. Sì, anche se ora non fa altro che generare ansia e dolore.
L’overthinking è una strategia che nel breve termine può apparire meravigliosa, un po’ come la pirite – l’oro degli sciocchi. Luccica così tanto con i suoi riflessi dorati, che se guardata di fretta sembra oro: perdiamo però di vista il nostro benessere a lungo termine.
Infatti nel suo inganno l’overthinking ci convince che possiamo prevedere ogni dolore, prepararci a tutte le possibili catastrofi che la nostra mente riesce ad immaginare – non importa quanto esse siano bizzarre o irrealizzabili.
Si tratta dell’illusione del controllo: più proviamo ad inseguire disperatamente il totale controllo della nostra vita, dei nostri pensieri, delle nostre emozioni… e più questo ci sfugge dalle mani, stanche ed esauste. Diventa un vero e proprio circolo vizioso che si autoalimenta, consumando tutte le nostre energie: cercando il controllo, finiamo per perderlo su ciò che davvero possiamo cambiare. L’overthinking non fa altro che aumentare la nostra ansia.
Cadiamo infatti nella trappola delle distorsioni cognitive, pensieri automatici e rigidi, come la catastrofizzazione: ci aspettamo che un disastro stia per accadere da un momento all’altro, al di là delle possibili prove realistiche intorno a noi – dobbiamo essere preparati ad ogni possibile futuro scenario negativo, non importa quando irrealizzabile sia questo scopo.
Le distorsioni cognitive
Interpretiamo il mondo attraverso i nostri pensieri. E a volte questi pensieri automatici e veloci possono diventare vere e proprie trappole, che causano sofferenza: parliamo delle distorsioni cognitive. Ci aggrappiamo ai pensieri, scambiandoli per la realtà, e finiamo con il fonderci con essi senza riuscire a lasciarli andare via. Questo avviene anche nel caso dell’ansia e dell’overthinking.
Ma quali sono le distorsioni cognitive più comuni?
Catastrofizzazione. Ci si aspetta che un disastro stia per accadere da un momento all’altro, al di là delle possibili prove realistiche intorno a noi.
Pensiero tutto o nulla. Non esistono sfumature, ma solo il bianco e il nero: ogni valutazione è nella sua forma più estrema.
Doverizzazione. C’è un’idea fissa e rigida di come ci si dovrebbe comportare e si innesca una valutazione negativa quando queste aspettative assolute vengono disattese.
Personalizzazione. Quando le cose vanno male o gli altri si comportano male, crediamo che sia colpa nostra.
Lettura del pensiero. Crediamo di sapere ciò che gli altri pensano e provano, anche al di là delle possibilità più probabili.
Etichettamento. Attribuiamo etichette globali, arrivando a conclusioni drastiche su noi stessi e gli altri.
Le distorsioni cognitive non sono però una prigione senza via di uscita. Imparando a riconoscerle possiamo diventare sempre più consapevoli dei nostri pensieri automatici, mettendoli anche in discussione. Spezzare le catene che ci tengono prigionieri, per coltivare i nostri mondi interni, perché è attraverso di essi che entriamo in relazione con il mondo.
Il pensiero negativo ripetitivo: rimuginio e ruminazione
Volendo tradurre il termine overthinking utilizzando la terminologia scientifica psicologica, possiamo riconoscerlo in due fenomeni: il rimuginio e la ruminazione.
Il rimuginio, anche detto worry, è una forma di pensiero ripetitivo rivolto al futuro, che viene interpretato in chiave catastrofica. I pensieri del rimuginio sono giudicati come incontrollabili e intrusivi. Il rimuginio può essere connesso anche a problemi di concentrazione e di insonnia, ed è spesso associato a sintomi ansiosi.
La ruminazione è un processo cognitivo disfunzionale rivolto al passato, che si focalizza sugli stati emotivi interni considerati come negativi, ma anche alle loro conseguenze. Può essere connesso al senso di perdita, ad un tono dell’umore basso, a scarsa energia e a sintomi depressivi.
Parliamo di overthinking e di ansia
L’ansia è una risposta del nostro organismo ad una minaccia di pericolo percepita come imminente: è una risposta complessa, che come scopo ha quello di farci sopravvivere. Pensa che è stata descritta già nei tempi dell’antica Grecia!
L’ansia si compone di quattro caratteristiche: fisiologiche, cognitive, emotive e comportamentali. Questo significa che l’ansia, quando si presenta, porta a modificazioni fisiologiche (come ad esempio la tachicardia o l’aumento della sudorazione) ma anche a modificazioni del nostro modo di pensare e ragionare, delle nostre manifestazioni affettive e comportamentali.
Anche se può sembrare strano, l’ansia generalmente è nostra alleata perché ci permette di adattarci all’ambiente: ciò che ti spinge a studiare per un esame o a prepararti per una presentazione di lavoro è proprio l’ansia!
Alcune volte però, l’ansia (ad esempio quando è generata dall’overthinking) si trasforma in nemica ed è necessario un intervento clinico: inizia ad assumere caratteristiche pervasive e invalidanti. Iniziamo a cadere in un circolo vizioso di pensieri disfunzionali catastrofici, viviamo in uno stato di allarme costante, compromettendo la nostra vita quotidiana e diventando ipersensibili agli stimoli.
Il nostro sistema nervoso: da dove nasce l’ansia?
Il nostro sistema nervoso autonomo si divide in due: simpatico e parasimpatico, che entrano in gioco quando siamo in ansia. Il sistema simpatico ha il compito di attivarsi in situazioni di pericolo: ci prepara alla sopravvivenza. Ha infatti la funzione adattiva di accendersi nelle situazioni di minaccia e di pericolo, attivando alcuni processi interni involontari del corpo. Il compito del sistema parasimpatico invece è quello di rallentare i processi interni di iperattivazione: riporta il nostro organismo ad uno stato di calma e omeostasi. Nel corso dell’evoluzione abbiamo sviluppato tre principali strategie che possono attivarsi in situazioni percepite come potenzialmente pericolose.
Fight – Attacco: L’attivazione è rivolta verso l’esterno, con reazioni potenzialmente aggressive di rabbia, nervosismo e irritabilità. Il corpo rilascia adrenalina e cortisolo, i pensieri corrono veloci ed è difficile concentrarsi, la postura diventa tesa e rigida, pronta all’azione.
Flight – Fuga: Le energie vengono direzionate verso l’isolamento, la possibile fuga per scappare e mettersi al sicuro: tutte le attenzioni sono rivolte verso questo obiettivo, il correre quanto più lontano possibile dalla minaccia per sopravvivere.
Freezing – Congelamento: Questa è la risposta più emotivamente complessa quando con il senno di poi ci guardiamo indietro. Si tratta di un vero e proprio congelamento in cui ci si immobilizza, che può mimare lo svenimento, in cui avviene uno shut-down del sistema e della consapevolezza.
Tu non sei i tuoi pensieri
Quindi, interpretiamo il mondo attraverso i nostri pensieri, ma non siamo i nostri pensieri. Questo non significa che la sofferenza dell’overthinking e dell’ansia non sia reale: perché anche se non si vedono, pensieri e parole creano ferite profonde.
Quando ci fondiamo con i nostri pensieri, non riusciamo più a distinguere la realtà oggettiva dalle nostre credenze catastrofiche. Questo però non significa che i tuoi pensieri siano la realtà. Anche se il dolore che provocano è pesante e tangibile, i nostri pensieri restano solo pensieri. Interpretazioni della realtà. E può sembrare una grande contraddizione, ma in realtà non è così: è quando ci fondiamo con i nostri pensieri che si genera la sofferenza. E quando proviamo a controllarli, non finiamo altro che creare altro dolore, in un ciclo infinito di dolore.
Ma i pensieri sono solo pensieri: non è possibile controllarli o domarli. E in terapia si lavora proprio su questo. Quello che possiamo fare è cambiare il rapporto che abbiamo con i nostri pensieri, interrompendo il ciclo della sofferenza e provando a vederli finalmente per quello che sono davvero: pensieri.
Quindi come superare overthinking e ansia?
Quello che possiamo fare è allargare la nostra finestra di tolleranza all’incertezza, imparando ad accettare il rischio della sofferenza e imparando a mettere in discussione i nostri pensieri automatici quando sono rigidi e irrealistici – anche e soprattutto attraverso il lavoro terapeutico. Non si può far sparire completamente l’ansia: abbiamo infatti visto che è una reazione naturale e istintiva che ci permette di proteggerci e prenderci cura di noi nei momenti di pericolo.
Anche perché non si può evitare di soffrire. Il dolore è una parte della vita che non saremo mai in grado di rinnegare. Possiamo provare ad ignorarlo in tutti i modi, a scansarlo, a cacciarlo via. E magari possiamo anche illuderci di esserci riusciti, cadendo però in una trappola macchinosa. Più proviamo ad evitare il dolore, più questo ci resterà appiccicato, amplificandosi e soffocandosi. Perché il dolore resterà con noi, almeno finché non lo attraverseremo fino a consumarlo.
Esistono due tipi di dolore. Il dolore pulito, il dolore direttamente causato da un evento che viviamo, naturalmente connesso all’esperienza di vita. E il dolore sporco, che crea il vero circolo della sofferenza: nasce dal tentativo di ignorare o di evitare a tutti i costi il dolore pulito.
Il vero problema allora non sta nella presenza del dolore nelle nostre vite, ma in come gli rispondiamo. Perché possiamo vivere una vita degna di essere vissuta solo nel momento in cui abbracciamo ogni sua sfaccettatura. Accettando ciò che non possiamo cambiare, ma impegnandoci a spezzare il ciclo della sofferenza, superando anche la nostra personale catastrofe.
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Ricordo sempre che lo scopo del presente articolo è puramente informativo e non si sostituisce ad un percorso di terapia personale o a un iter diagnostico, in quanto ha il solo scopo psicoeducativo e divulgativo.
Riferimenti bibliografici
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