Trauma psicologico e cervello

Trauma in psicologia.

Il trauma in psicologia porta a numerose conseguenze emotive, comportamentali, relazionali e anche neurofisiologiche: vediamole insieme. Tempo di lettura: 20 minuti.

Indice

  1. Cos’è il trauma in psicologia?
  2. Le conseguenze del trauma
  3. Non tutto è un trauma!
  4. Le basi neurofisiologiche
  5. Le alterazioni neurofisiologiche
  6. Le diagnosi per il DSM-5-TR
  7. Riferimenti bibliografici

Cos’è il trauma in psicologia?

Bessel Van der Kolk, uno dei più importanti pionieri nella ricerca del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD), ha affermato che il lavoro più importante e imprescindibile del nostro cervello è quello di assicurare la nostra sopravvivenza, anche nelle situazioni più avverse. Ma che cos’è il trauma in psicologia?

Il termine trauma può essere tradotto come «ferita dell’anima»: qualcosa che si pone come spartiacque tra un prima e un dopo. E così ci riferiamo al trauma anche nel campo della psicologia.

Per trauma psicologico si intende quindi un qualsiasi evento potenzialmente traumatico che l’individuo percepisce come estremamente stressante in cui viene minacciata l’integrità psicofisica propria o altrui. Non esiste un solo tipo di trauma, possiamo infatti parlare di trauma individuale, collettivo o transgenerazionale. In generale, possiamo dividere il trauma in due categorie:

Trauma con la T maiuscola, cioè le esperienze traumatiche di natura estrema.
Trauma con la t minuscola, esperienze traumatiche non estreme, che implicano esperienze ed eventi di vita meno catastrofici e spesso di natura sociale e relazionale.

Inoltre, il trauma in psicologia può essere: individuale, cioè che coinvolge la singola persona; collettivo, cioè che coinvolge gruppi e società; oppure transegenerazionale, cioè la trasmissione epigenetica, narrativa e psicologica del trauma da una generazione all’altra. Louise Madeira ha scritto:

“Adoro l’ambivalenza poetica di una cicatrice.
Porta con sé due messaggi: qui, mi sono fatta male, qui, sono guarita”

Le conseguenze del trauma

Il trauma in psicologia ha diverse conseguenze, che possiamo racchiudere in tre grandi categorie per semplificazione espositiva.

Psicologiche: lo shock può rendere impossibile alla persona l’accesso a risorse e strategie difensive usuali, ed è possibile che quelle stesse sensazioni si ripresentino dopo l’evento in altre circostanze. Esempi sono: ipervigilanza, flashback, insonnia, sbalzi di umore e irritabilità, disregolazione emotiva e disattenzione.
Emotive e Relazionali: tra le principali conseguenze ritroviamo: ansia e paura, tristezza e depressione, rabbia, vergogna, colpa e disgusto. Spesso si instaurano relazioni che oscillano tra due estremi: il bisogno di attaccamento e dell’isolamento, soprattutto nel momento in cui l’evento è connesso a una frattura della fiducia relazionale.
Fisiche: il trauma è memorizzato e archiviato anche nel corpo, che può ripresentare le stesse variazioni in momenti diversi da quello originario. Esempi sono: tachicardia, nausea, vertigini, paralisi, tremori, afonia, amnesia, affaticamento, problemi al sistema immunitario e a quello endocrino.

Non tutto è un trauma!

Ricorda che non tutto è un trauma e non tutti i comportamenti dipendono da risposte traumatiche. Quando si parla di psicologia è importante mantenere il rigore scientifico della disciplina, distinguendo il suo linguaggio da quello che utilizziamo comunemente tutti i giorni: anche se negli ultimi tempi è entrato nel linguaggio colloquiale il termine “trauma” per riferirsi ai più disparati comportamenti, non sempre questi sono davvero una conseguenza reattiva ad un evento traumatico. Proprio per questo è importante rivolgersi ad un professionista della salute mentale, restituendo a noi esseri umani la nostra meravigliosa complessità. Perché in realtà è molto facile etichettare tutto come una risposta traumatica: può portare a de-responsabilizzarci delle nostre azioni e a non fermarci e riflettere in modo sincero e vulnerabile a ciò che accade davvero dentro di noi.
Anche lo scopo del presente articolo quindi è puramente informativo e divulgativo: non si sostituisce ad un percorso di terapia personale o a un iter diagnostico, ma ha il solo scopo psicoeducativo.

Le basi neurofisiologiche

Il trauma è memorizzato e archiviato non solo nella nostra mente, ma anche nel corpo, che può ripresentare le stesse variazioni in momenti diversi da quello originario. In particolare, modifica anche il nostro cervello.

Si parte dal nostro sistema nervoso. Il sistema nervoso autonomo (SNA) controlla le funzioni vegetative inconsapevoli del nostro corpo. Il SNA si divide in:

Simpatico: ha il compito di attivarsi in situazioni di pericolo, ci prepara alla sopravvivenza. Ha infatti la funzione adattiva di accendersi nelle situazioni di minaccia percepita, attivando alcuni processi interni involontari del corpo.
Parasimpatico: il suo compito invece è quello di rallentare i processi interni di iper-attivazione del simpatico. Quindi riporta il nostro organismo ad uno stato di calma e di tranquillità in un processo chiamato omeostasi.

Quali sono le nostre strategie di sopravvivenza, regolate dal SNA?

Fight – Attacco: l’attivazione è rivolta verso l’esterno, con reazioni potenzialmente aggressive di rabbia, nervosismo e irritabilità. Il corpo rilascia adrenalina e cortisolo, i pensieri corrono veloci ed è difficile concentrarsi, la postura diventa tesa e rigida, pronta all’azione.
Flight – Fuga: le energie vengono direzionate verso l’isolamento, la possibile fuga per scappare e mettersi al sicuro: tutte le attenzioni sono rivolte verso questo obiettivo, il correre quanto più lontano possibile dalla minaccia per sopravvivere.
Freezing – Congelamento: questa è la risposta più emotivamente complessa quando con il senno di poi ci guardiamo indietro, poiché spesso scatena sensi di colpa. Si tratta di un vero e proprio congelamento in cui ci si immobilizza, che può mimare lo svenimento, in cui avviene uno shut-down del sistema e della consapevolezza.

Le alterazioni neurofisiologiche

Ma cosa succede ad un cervello traumatizzato?

Per semplificare e iniziare a capire come funziona e come è strutturato il nostro cervello, possiamo prendere in prestito la teoria di MacLean del cervello trino. Questa teoria divide infatti il cervello in tre strutture che si sono evolute nel corso del tempo e che si occupano delle nostre risposte comportamentali, fisiche, emotive e cognitive.

Il cervello rettiliano. Corrisponde al tronco encefalico ed è la parte del nostro cervello che si occupa delle funzioni di sopravvivenza di base, come dormire e respirare.
Il cervello mammaliano. Corrisponde al sistema limbico e per semplificare possiamo dire che si occupa dei sistemi emotivi e di affiliazione.
Il cervello cognitivo. Corrisponde alla neocorteccia, la zona del cervello evolutivamente più recente – si occupa delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria.

Generalmente queste tre strutture del cervello lavorano insieme, anche se a volte una di queste prende il sopravvento – come nel caso delle reazioni di attacco e fuga. Nel caso di un cervello traumatizzato, le aree più compromesse sono l’ippocampo, l’amigdala, il talamo, l’insula, la corteccia prefrontale e il cervelletto.

Le strutture limbiche

La prima via più veloce di reazione passa per ippocampo e amigdala; ed è in queste zone che si sviluppano le alterazioni cerebrali del trauma. Inoltre, c’è anche una diversa attivazione degli emisferi: quello destro è molto più attivato rispetto a quello sinistro.

Il ricordo può congelarsi e restare immagazzinato nel sistema limbico, la via di reazione più veloce e primitiva e non venire elaborato dalla corteccia. Il ricordo non è dunque integrato, ma isolato e bloccato nella reazione del sistema nervoso autonomo simpatico di attacco-fuga: è accessibile a livello corporeo, ma non narrativo.

L’ippocampo ha una dimensione ridotta rispetto a quello della popolazione sana. La sua riduzione è stata correlata ai sintomi intrusivi del trauma, come i flashback, i problemi di memoria e gli incubi. L’ippocampo infatti ha un ruolo centrale nel processare le memorie semantiche e autobiografiche, oltre che nella regolazione delle emozioni come quella della paura.
L’amigdala è coinvolta nel processo di reazione alla minaccia percepita e la sua attivazione è maggiore rispetto alla popolazione sana: si vive in un costante stato di allerta.
Il talamo processa le informazioni sensoriali in modo rapidissimo. Nei soggetti con PTSD, il talamo tende ad essere meno attivo rispetto alla popolazione sana, e quindi non riesce a processare adeguatamente gli impulsi esterni: si instaura un vero e proprio sovraccarico sensoriale.
L’insula regola il SNA ed è fondamentale nella regolazione delle emozioni: è iper-attiva nel cervello traumatizzato.

La corteccia prefrontale

Le strutture frontali sono le vie più lente di elaborazione, in quanto le più sviluppate. Queste permettono la ricostruzione narrativa dell’evento traumatico, che in questo modo viene integrato nella memoria biografica del soggetto.

La corteccia prefrontale (in particolare quella mediale) esercita il controllo inibitorio delle risposte allo stress, ma anche alle reazioni alle emozioni. Nei soggetti con PTSD è stato evidenziato come ci sia una riduzione del volume di questa zona del cervello e una sua ipoattività rispetto al cervello sano: maggiore è la gravità dei sintomi, maggiore è anche la riduzione del suo volume. Si presentano alterazioni nella funzionalità anche dell’area di Broca, dedicata al linguaggio, che resta quasi del tutto disattivata. Questa zona è predominante nell’emisfero sinistro, meno attivo nel PTSD rispetto a quello destro.

Il cervelletto

Il cervelletto è coinvolto nella comunicazione globale delle strutture cerebrali ed è coinvolto nei processi di attenzione: presenta diverse variazioni nel suo volume, più piccolo rispetto alla media.

Le diagnosi per il DSM-5-TR

Sono due le principali diagnosi del trauma in psicologia che sono presenti nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5-TR) che ora andremo a vedere brevemente.

Disturbo da Stress Acuto (ASD)

I sintomi insorgono dai 3 giorni successivi l’evento traumatico e si risolvono entro 30 giorni; se i sintomi persistono dopo le 4 settimane, si evolve in PTSD Interventi tempestivi successivi alla sua comparsa prevengono la sua evoluzione in PTSD.

Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD)

Si può diagnosticare a partire dai 30 giorni dall’evento traumatico e ha un impatto più forte sul benessere biopsicosociale rispetto all’ASD Possiamo inoltre parlare di PTSDc: proposta da Judith Herman negli anni ‘90, questa classificazione non è ancora presente nel DSM.

Possiamo dunque affermare che le modificazioni biologiche dei pazienti con PTSD sono molteplici, complesse e connesse l’una all’altra: le stesse risposte messe in atto per adattarsi allo stimolo traumatico possono alterare l’equilibrio neurobiologico del cervello. Proprio in virtù di ciò, il trattamento del paziente traumatizzato deve tener conto della complessità del PTSD considerando il piano cognitivo, emotivo, comportamentale e biologico a partire dal corpo, con l’obiettivo di superare la fobia delle memorie traumatiche, integrandole tra loro.

Lo scopo del presente articolo è puramente informativo e divulgativo: non si sostituisce ad un percorso di terapia personale o a un iter diagnostico, ma ha il solo scopo psicoeducativo.

Riferimenti bibliografici

American Psychiatric Association. (2022). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5th ed. Text Revision.
Liotti, G., & Farina, B. (2011). Sviluppi traumatici. Raffaello Cortina Editore.
MacLean, P. D. (1977). The triune brain in conflict. Psychotherapy and psychosomatics28(1/4), 207-220.
Montano, A., & Borzì, R. (2019). Manuale di intervento sul trauma. Trento: Erickson.
Ogden, P., Minton, K., Pain, C. (2023). Il trauma e il corpo: un approccio sensomotorio alla psicoterapia. Raffaello Cortina Editore.
Van der Kolk, B. (2020). Corpo accusa il colpo: Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Raffaello Cortina Editore.